Scrittura creativa“Si scrive per non morire del tutto, per non morire subito poiché tutto deperisce. E credo che fra tutte le ragioni, le due ragioni più forti di scrivere siano proprio queste: far condividere agli altri la sorpresa, l’annebbiamento di esistere, il miracolo del mondo, e far sentire il nostro grido di angoscia a Dio e agli uomini, far sapere che siamo esistiti. Tutto il resto è secondario” |
(E. Ionesco) |
Scrivere un libro, un racconto, una poesia è un percorso emozionale. Quindi scrivere un libro è un percorso emozionale che mette in gioco te stesso: le tue parti più fragili e quelle che di te stesso non conosci. Imparare a descrivere e' importante perche' solo cosi potrai portare i lettori nella tua storia, nel tuo mondo. Devi creare l'ambiente, devi descrivere la fisionomia ed il carattere dei protagonisti, non devi svelare subito i loro segreti ma al momento opportuno. Ti aiutera' la tua capacita' di osservare il mondo intorno a te. Non devi fare lunghi elenchi che a volte annoiano o distraggono il lettore dal nucleo centrale. Basta un piccolo accenno per comunicare al lettore cosa sta succedendo. |
I nostri scrittori silenti |
Emanuele Morganti |
La montagna |
Quella mattina l’ingresso del piccolo ospedale civile di Tolmezzo era affollato di persone. Il piazzale davanti alla grande porta
d’ingresso era un via vai di auto e ambulanze, dalle quali si riversavano persone sporche di fango, disperati che sorreggevano
altri disperati che avevano bisogno di aiuti urgenti. Una giovane infermiera cercava di mettere un po’ d’ordine, indirizzando le persone verso i dottori e i punti di raccolta che la protezione civile aveva disposto in prossimità del parcheggio dell’ospedale. Per tutti aveva una indicazione da dare e una parola di conforto, fino a quando la sua attenzione venne attratta da una donna sulla cinquantina che stava attraversando il piazzale. Non sembrava del posto, i suoi abiti alla moda stonavano con le persone sporche di fango e il suo volto duro e ben truccato, incorniciato da capelli castani ordinati in un caschetto fresco di parrucchiere, spiccava tra le facce stravolte che la circondavano. La donna incrociò per un attimo lo sguardo della giovane infermiera e come un rapace che si avventa sulla preda si diresse verso di lei: “Mi scusi, sono una giornalista del Gazzettino avrei bisogno di una informazione”. L’infermiera si aspettava che quanto era successo quella notte avrebbe attratto la stampa e la tv, il dirigente dell’ospedale era stato molto chiaro in merito, il personale non era autorizzato a rilasciare dichiarazioni. Quello che non si aspettava era di avere a che fare direttamente con loro. La donna appena arrivata si fermò davanti a lei, il suo sguardo penetrante metteva a disagio l’infermiera, che nel rispondere cercò di essere il più professionale possibile: “mi dica, ma non posso perdere molto tempo”. La giornalista era solo ad un passo da lei e i suoi occhi incrociavano quelli dell’infermiera: “So che in questo ospedale stanno portando tutti i feriti del disastro di San Martino Piccolo, ho saputo che tra loro c’è anche l’uomo che ha dato per primo l’allarme, sa dirmi dove potrei trovarlo?” “Sarà sicuramente in osservazione”, rispose intimorita l’infermiera, “e non credo possa ricevere visite”. La giornalista non aveva fatto tutta quella strada per poi tornare indietro senza ottenere nulla, con malagrazia scansò la giovane donna e si diresse a grandi passi verso l’ingresso dell’ospedale. Con fare deciso attraversò le grandi porte a vetro dell’ingresso dell’ospedale e si ritrovò in un bailamme di dottori, infermieri e lettighe. Si rivolse a quello che le sembrava un portantino, “Sai dirmi dov’è l’osservazione”, il ragazzotto troppo indaffarato indicò un corridoio vicino agli ascensori “Li, lì in fondo, scusi devo andare”. Nel caos nessuno la notò e si infilò decisa nel corridoio. Una decina di lettighe erano allineate lungo la parete di destra. Su alcune di esse erano sdraiate delle persone con i capelli impiastricciati dal fango, qualcuno aveva profonde escoriazioni sulle braccia, altri lo sguardo perso nel vuoto ed una signora singhiozzava sommessamente coprendosi il volto. Le poche lettighe vuote erano sporche di fango ancora umido. Su una di esse un orsetto di peluche, anche lui intriso di fango, sembrava in attesa del suo piccolo padrone. Che storia c’era dietro quel peluche? Dov’era la bambina o il bambino che lo abbracciava di notte? Che storia stupenda sarebbe stata per le colonne dell’edizione domenicale, pensò la giornalista mentre si soffermava a guardare l’orsetto in posa. Poi riprese a camminare veloce, adesso aveva un’altra storia da scrivere e lo avrebbe fatto a qualsiasi costo. Il corridoio dava accesso ad una sala lunga e stretta, dalla quale si diramavano altri quattro corridoi. Dietro un bancone, nascosta da due grossi schermi e pile di carta, la giornalista notò una infermiera, forse la caposala, china su una cartella: “Mi scusi cerco la Guardia Forestale di San...”. L’infermiera era troppo presa a scrivere e non le fece finire la frase “E’ di la, alla stanza 8”, indicando uno dei corridoi con la biro che stava mordicchiando. |
Patrizia Gentilini |
Le soluzioni - tratto da "Il vaccino secondo Emanuele" ............... |
Pat e Max decisero di portare Emanuele presso un grande ospedale pediatrico di Roma pensando di poterlo aiutare. Il primo tentativo fu fatto quando aveva tre anni. Per fare tutti gli accertamenti occorrevano tre giorni ma non c’erano posti liberi nel reparto di psichiatria..., dove l’aveva indirizzata la psicologa dell’ospedale osservando che il bambino era affetto da ritardo cognitivo, così Pat ed Emanuele furono ricoverati nel reparto dove curavano le adolescenti anoressiche; in una stanza con un solo letto per tutti e due. Quello non rappresentò un problema per Pat perché stare nello stesso letto con il figlio era un modo per proteggerlo da tutto e da tutti. Il problema invece era dovuto dall’ambiente nel quale si trovavano che incideva sulla depressione di Pat. Una porta blindata e chiusa elettronicamente li separava dal resto del mondo e c’erano ringhiere di ferro alle finestre per non far scappare le ragazze in cura. Infatti ogni qualvolta che ad Emanuele dovevano fare una valutazione o un esame, Pat per uscire, era costretta a chiedere all’infermiere di turno di aprire la porta. Una spia verde suonava e quello era il segnale che la porta era sbloccata. L’ora del pranzo era la più critica perché Pat doveva andare con suo figlio in una saletta in fondo al corridoio del reparto dove c’era un tavolo rotondo per mangiare. Le pazienti venivano chiamate dalle infermiere più volte alzando anche il tono della voce , del resto il mangiare non era importante per loro . Le ragazze filiformi facendo un passetto alla volta e trascinando con una mano il bastone della flebo, si mettevano sedute al tavolo. Alcune guardando il cibo cominciavano a piangere e a fare delle smorfie con la bocca, come se dovessero sottoporsi ad una tortura altre rimanevano in silenzio ad osservare il vuoto. Per Pat era impossibile estranearsi da tutto questo e fu difficile trattenere le lacrime . La sua depressione non l'aiutò. Emanuele per fortuna, saltellava intorno al tavolo e si metteva seduto divorando in pochi minuti il suo pranzo. Una ragazza guardandolo accennò un sorriso poi guardò Pat e le chiese:” perché lui è qui?.” E Pat rispose :” Siamo stati messi qui perché c’era un letto libero. come ti chiami ?” la ragazza che era visibilmente debole, facendo un grande sforzo, le rispose :” Mi chiamo Rosa , sono qui da un mese .” Pat le rispose con un sorriso ma non si azzardò a farle altre domande perché arrivò l’infermiera che disse :” Rosa non parlare che ti stanchi ! Oggi devi mangiare di più.” A volte dovendo aspettare il proprio turno prima di fare la visita, Pat portava Emanuele nella sala giochi dell’ospedale che si trovava in un altro reparto. La sala era molto grande e piena di mamme con i loro bambini. Alcuni erano fasciati, altri sulla sedia a rotelle, altri erano pallidi in viso e calvi per via della chemio. Pat avrebbe voluto chiedere informazioni sulle condizioni di salute di quei piccoli bimbi ma l’allegria di quel momento era cosi autentica, forte e magica che catturo’ anche lei e di interromperla con argomenti tristi proprio non le andava. Rimase in silenzio a guardare quei genitori consapevoli del male dei propri figli. Nonostante le loro condizioni difficili di salute i bambini donavano un sorriso alle loro mamme per sostenerle nel loro dolore. Le abbracciavano e le baciavano chiedendo comunque e nonostante tutto di continuare a giocare. Tanti giocattoli , libri di fiabe ,costruzioni e trenini coloravano l’ambiente. Quella sala era il posto più bello dell’ospedale. Li’ c’era il sole, l’arcobaleno e tutte le stelle. Ciò che la rendeva speciale era l’allegria dei bambini che avevano la capacità di rendere tutto più bello e soave , anche davanti alla malattia più grave. Conclusi i tre giorni di valutazione l’ospedale identificò il quadro clinico: “ Disturbo generalizzato dello sviluppo”. I medici prescrissero ad Emanuele un calmante chimico che avrebbe tolto al bambino momentaneamente l’ iperattività e suggerirono ai genitori di metterlo in lista di attesa in un centro di riabilitazione della zona in cui abitavano per fargli fare la psicomotricità che a parer loro lo avrebbe aiutato a migliorare. Un protocollo che in seguito Pat scoprì essere uguale per tutti i bambini autistici . Non c’era nessuna ricerca specifica , nessuna variazione di terapia per ciascun bambino. Pat pensò ” Come si può decidere di mettere una mamma e il suo bambino di tre anni in un reparto così delicato” . e ancora :” Siamo stati chiusi come fossimo in carcere per motivi di sicurezza nei confronti delle ragazze che dimostravano la volontà di fuggire da quel posto asettico senza specchi e con le sbarre alle finestre , che non dava loro amore ma solo regole. In un ambiente non adatto ad accogliere un bambino di tre anni perché privo di qualsiasi giocattolo e privo di un’atmosfera gioiosa . Emanuele amava il momento del pranzo ma quando si sedeva intorno a quel tavolo assisteva ai pianti delle ragazze che chiedevano quasi implorando di non dover mangiare. Emanuele allora diventava serio e pur non parlando mi guardava e con i suoi occhi dolcissimi mi chiedeva :” perché piangono cosa gli è successo? .” Io allora gli dicevo :” stai tranquillo amore, piangono perché gli fa male la pancia.” L’ospedale non aveva tutelato nessuno dei suoi pazienti nè le ragazze anoressiche profanando la loro privacy e né Emanuele un bambino di soli tre anni e dunque facilmente impressionabile. L’ospedale aveva trattato tutti come oggetti senza anima, posteggiati in quel reparto ad aspettare un consulto di chissà quale importanza e quindi secondo loro disposti ad affrontare tutto! Avrei preferito avere un letto in corridoio o una brandina in una stanza già al completo , come mi fecero stare quando andai per partorire Emanuele. “ Pat accese il motore della sua Opel Meriva e partì per quelle strade provinciali dove a volte si scorge il mare alla ricerca di una risposta. La macchina non fece domande, ubbidì come sempre al comando del suo capitano. Era la prima volta che Pat si accingeva a cercare la soluzione e la benzina della macchina si trasformo’ in speranza. Pat cercò vicino casa un centro che potesse accogliere suo figlio ma non lo trovò. Le liste di attesa erano lunghissime ed impenetrabili, Pat provò allora a rivolgersi ad un centro a trenta chilometri da casa dove fu accettato subito . Iniziò una terapia di una volta a settimana . Il centro di riabilitazione era molto bello ed era di fronte al mare . Emanuele seguì la terapia di psicomotricità come da protocollo senza però ottenere alcun risultato. Quando Pat ebbe l’ennesimo colloquio con la psichiatra che seguiva Emanuele chiese:” Dottoressa buongiorno , cosa mi dice riguardo a mio figlio ? Perché io francamente non vedo miglioramenti. A cosa serve questa terapia ?.” La dottoressa, era una giovane donna in sovrappeso con i capelli sciolti sulle spalle , dei grandi occhiali da vista ed indossava un camice bianco lasciato aperto. Aveva un aspetto un po’ trasandato. La dottoressa prendendo Pat da una parte le disse :” Cara signora, mi duole tanto dirle che, Emanuele è un caso particolare! Sarò franca con lei in tutto questo tempo che ho osservato suo figlio, sia in terapia che individualmente , non sono riuscita ad inquadrare bene la sua patologia, a volte sembra più ricettivo a volte più assente.” Mentre Pat ascoltava con la massima attenzione le parole della dottoressa sentiva crescere la rabbia e avrebbe voluto sparare lance di fuoco dalla bocca come i draghi delle fiabe contro la dottoressa che invece era davanti a lei e parlava tranquilla. Fece un bel respiro profondo per trattenere una risposta fuori controllo e le disse: ” Allora lei mi vuol dire che tutto questo tempo è stato sprecato ! che Emanuele è rimasto tale e quale a prima e che lei ci ha messo due anni per dirmi che non ha capito niente! Ma chi ce l’ha messa qua dentro ! Ma certo lei sarà una delle solite raccomandate di turno!” “ma signora come si permette di fare queste supposizioni e dire queste cose” “ Non voglio sentire risposte da parte sua ! meglio che me ne vado da questo posto assurdo.” Pat se ne andò senza voltarsi indietro. Era troppo arrabbiata e delusa da quella mancanza di professionalità e da quella franchezza ricevuta così in ritardo . Fu così che Emanuele interruppe la terapia. Pat e suo marito erano stanchi ma sempre più agguerriti nel cercare la causa di quell’assurdo cambiamento repentino che aveva avuto Emanuele. “amore non ci fermeremo a questo primo tentativo” “combatteremo con tutte le nostre forze. Stai tranquilla” rispose Max abbracciandola. |
Maurizio Bonardo |
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8 MARZO |
Giallo ramo di mimosa inerme e profumato. Quel legno gronda sangue dal futuro e nel passato. 23 febbraio 2020 |
Qualche anno fa, prima del restauro della Galleria Colonna di Roma oggi Galleria Alberto Sordi, sotto al portico che guarda alla piazza, sostava un numero imprecisato di 'lettori'
di tarocchi e, fatto curioso, esercitavano quel mestiere per tanti avventori. Passando di lì all'ora di pranzo, si potevano sentire le voci di chi sperava in una prossima fortuna oppure voleva sapere se era ricambiato dall'amata oppure ancora chi sperava di poter avere dei figli o chi cercava lavoro ecc. ecc. Ripensando a quei giorni, mi rendo conto che un numero di persone, chissà quante, spera che gli possa accadere qualcosa di buono come se chissà chi, con una bacchetta magica, indulgesse verso Tizio, ora Caio, poi Sempronio E' paradossale che acriticamente si possa credere che un Tizio qualunque, incontrato per strada, seduto dinanzi ad un tavolino con delle carte oppure con un turbante in testa e una sfera di vetraccio nella quale dice di vedere il futuro, sia un 'vero' addetto ai lavori piuttosto che un millantatore che guadagna qualcosa, poco o tanto che sia ma sempre esentasse. Tutti a bocca aperta con un amo ben conficcato nel labbro! Ricordiamo non a caso un programma TV:'La zingara' con Cloris Brosca che girava i tarocchi fino alla 'luna nera'. Il fatto che mi ha fatto cadere le bracciae lasciato senza parole, è ben descritto in un saggio etno-antropologico riguardante il sud d'Italia e più precisamente la Lucania o Basilicata, relativamente ai 'filtri d'amore' realizzati da apposite 'maghe', rigorosamente anziane contadine. Sembra di essere dentro una storiella oscena là dove il protagonista che ambiva ad un amplesso con la donna desiderata che non lo degnava di uno sgurado, si reca da una di queste 'maghe'. L'officiante prende un pestello e amalgama insieme peli di lupo, occhi di gufo, code di lucertola, pezzetti minuscoli di fungo velenoso, muffe e vellutelli, minuscole foglioline prese in un nido d'aquila, altre infinite cianfrusaglie analoghe e pesta tutto nel mortaio ottenendo una polvere finissima. Poi amalgama il tutto con 4 gocce di olio sottratto al vescovo cresimatore e inserisce il composto in una sacchetta di garza di cotone finissimo. La sacchetta va esposta alla serena tra le fasi lunari: piena-nuova. La maga riprende con cura la sacchetta e mentre sussurra apposite preghiere aggiunge al composto una o due gocce di sangue di grembo materno. La prima domenica utile la maga si reca in chiesa e nel momento dell'elevazione alza la mano che tiene il sacchetto affinchè venga 'rubata' una benedizione. Poi consegna il tutto a colui che ne aveva fatto richiesta raccomandandogli di portarlo con se negli incontri con l'amata. Lo studio non dice se la cosa funzioni nè cosa esatamente venga pestato e ridotto in polvere nel mortaio ma tutto il resto lo descrive parola per parola. Ciò che mi ha lasciato senza parole è il fatto che i sacerdoti sanno perfettamente di questi riti pagani e nonostante ciò, lasciano che vengano compiuti. |
BRUTTA BESTIA |
(Mauvaise affaire) |
Ansia! Ti prende ti mangia ti uccide ed inghiotte. Emozioni sensazioni aggrovigliate annodate. Il caos crea la pace con un OK! Senza più controllo continua! 11 giugno 2019 Maurizio Bonardo |
Crescenzo Marra |
"Io sono un demoscristiano!" |
La convinzione monolitica, (sottolineata dal punto esclamativo dogmatico, talebano, urlato alla fine della frase, con cipiglio, altero, convinto), riuscì ancora una volta ad
impressionarlo, "io sono un democristiano!". La frase non era sua, era del padre, grafomane, che lasciava appunti e pensieri scritti, un pò ovunque, come posto-it, nei suoi diari, tanti. Aveva trattenuto questo, inserendolo religiosamente nel portafoglio, come fosse un santino, a mò di ricordo funebre, di un padre ancora giovane e vivo. Ricordava bene il simbolo del partito, una gran croce rossa, come quella della tunica dei guerrieri delle crociate e in basso la scritta enorme LIBERTAS; veramente questa parola, livertà, aveva stuzzicato le sue riflessioni liceali, e subito la sua fantasia elaborava una riflessione: Bisogna intendersi sul significato del termine libertà e quando ha senso parlarnecol significato di restrizione. Da piccolo non "devo" essere libero, da adulto devo necessariamente ottemperare ad obblighi di socialità (rispetto della proprietà altrui, comportamenti etici ecc..) che limitano (a mio e di tutti vantaggio) la mia "sovranità". Ma se con uno scambio opportuno dare/avere io offro le mie capacità in cambio di ciò di cui ho bisogno (es valuta) e con la stessa costruisco la mia vita, il mio mondo, di cosa non sono libero? Certo la mia libertà è confinante con quella degli altri, ma non è una restrizione arbitraria. Ovviamente qualcuno obbietterà che attraverso la comunit si sviluppano coercizioni di vario tipo da parte dei poteri più forti, ma finchè questa forza gliela dà la maggioranza ciò entra nel conto delle "sovranità limitate"... Riuscii a fermarsi solo perchè il campo visivo fu attraversato da un lato B femminile che stuzzicò le sue giovanili fantasie ormonali, proprio mentre entrava in chiesa per l'obbligo domenicale, costringendolo ad incamminarsi pentito verso il più vicino confessionale. PS. La bellezza della lingua italiana è indiscutibile: Tutte le paroleche finiscono accentate: libertà, umiltà, virtù, carità, onestà, ecc. sono semplicemente astratte e perciò fantastiche. |
Laura Masielli |
INCANTEVOLE LUNA |
Un giorno ho rubato il volto alla luna e l'ho incollato sul mio. l'ho rubato perche' soffrivo per la mancanza d'eternita'. Per riempire quell'infinito che mi separa da te ho fatto mia l'immagine dell'amore, quello che fa affogare i cuori, resuscitare i morti, fa nascere bambini. Ho incollato il tuo volto sul mio o dolce luna e sulle labbra io sposa ho esteso il mio sorriso rosso fino a colorare le tue terre aspre. Luna io sono in te dopo il tramonto in questa fase di questa mia vita. Sei bellezza vestita di semplici vesti di mistero profondo, sei silenzio quando trascini le foglie nelle tempeste ed io sono naufraga sulle tue terre. Ho rubato alla luna il suo sguardo, l'ho imprigionato nelle mie stesse vene perche' se c'e' vita in te, c'e' vita in me. E io voglio crederci. Che le maree adesso vengano a sommergermi. |
Ignazio Savino |
L'ultimo romantico |
Nei miei ricordi affiorano spesso scene crude e drammatiche che non riesco a dimenticare. Quanta tristezza attraversava la mia mente! ma nello stesso tempo essa provocava in me un clima di speranza. I ricordi rappresentano un accumulo di sentimenti che con il passare degli anni ha creato nel mio animo un desiderio di crescita e uno stimolo a migliorare la vita in tutte le sue aspettative. Cercavo con tutte le mie forze di maturare, nel desiderio di crescita e di arricchire il bagaglio di maturita'. Sono arrivato ormai sul viale del tramonto e desidero di fare tesoro delle esperienze acquisite. Quanto cammino fatto! la vita trascorsa rappresenta il paniere delle cose fatte. La vita da trascorrere, quelle da fare. Se volgo lo sguardo indietro, spesso avverto nella pelle una sensazione di stanchezza ma nello stesso tempo sento il desiderio di avere tanta fiducia per il prossimo cammino. A volte mi chiedo: "Quanto cammino avro' ancora da fare?" questo e' il mistero della vita! Questo il vero significato di una desiderata speranza. |
SENTO IL DESIDERIO DI BERE AL CALICE DEI SENTIMENTI. UNA VITA VOLTA ALL'AMORE PER NATURA, AL BENE DEL PROSSIMO, AL CAMMINO FUTURO ATTRAVERSO L'UTILIZZO DEL BENE. SENTO UN BRIVIDO CHE PREANNUNCIA PALPITI DI GIOIA PER CIO' CHE HO VISSUTO E DI CERTEZZA PER L'AVVENIRE. UNA VITA SPESA PER L'AMORE, LA MIA! UN CAMMINO NUOVO NEL VASTO PARCO DEL RISPETTO RECIPROCO. AVERE LA CONSAPEVOLEZZA CHE QUESTA PARENTESI TERRENA MI SIA SERVITA A PREPARARE UN RISVEGLIO INIZIATO CON UN VAGITO ED I BATTITI DEL CUORE TRASFORMATI POI IN PAROLE E AMORE LA GIOIA, L'AMORE, IL DESIDERIO DI LASCIARE UNA TRACCIA, UN RICORDO, UN SEGNO CHE SIA UTILE PER GLI ALTRI: QUESTO E' LO SCOPO DEL BENESSERE SPIRITUALE, QUESTO E' LO SCOPO DELLA VITA. TUTTO QUESTO RAPPRESENTA UN VIATICO PER GLI AMICI, GLI AMORI, IL MONDO CHE CI CIRCONDA CON I SUOI CARATTERISTICI CICLI CHE SI SUCCEDERANNO IN UN UNIVERSO ORDINATO, PURO E COLMO DI CANDORE. |
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